Il Novecento: una sintesi storico-sociale e l'avvento del nuovo secolo
Questa sintesi è stata elaborata a suo tempo per motivi didattici. E' basata in buona parte sulle ipotesi formulate da Hobsbawm nel suo ponderoso saggio sul "Secolo breve", a cui si sono aggiunte mie considerazioni.
Parigi, 14 aprile del 1900: si apre l'Esposizione Universale del 1900 che superò la quota di 50 milioni di visitatori (solo quella di Osaka del 1970 fece altrettanto). Non solo. Nello stesso anno Parigi ospitò anche la seconda Olimpiade dell'era moderna ed il barone Pierre de Coubertin, fondatore del Comitato Olimpico Internazionale, dovette cedere il controllo dei giochi a favore del Governo, dando inizio a quell'interessamento delle nazioni per ospitarli: il mix giochi-affari era cominciato!
L'esposizione parigina vide anche il trionfo del cinematografo dei fratelli Lumière: un nuovo modo d'intrattenimento delle masse era iniziato. Il cinema ben presto diventerà una vera e propria industria: il mix di spettacolo-affari era cominciato!
Tuttavia, prima di vedere alcuni aspetti particolari del Novecento come secolo, è opportuno fare un esame generale dal punto di vista storico. E' il caso di accennare che tale disamina attiene soprattutto al mondo occidentale, specialmente europeo e nord-americano.
Si può partire da quanto afferma un illustre storico inglese, Eric Hobsbawm, che vede il Novecento come secolo breve, diviso in tre fasi; divisione molto utile per comprendere l'evoluzione del secolo. La prima, dal 1914 al secondo dopoguerra, può definirsi l'età della catastrofe con le tragedie delle due guerre mondiali, crollo del liberismo e del mercato mondiale, crisi delle istituzioni liberali e affermarsi di sistemi politico-ideologici ad esso alternativi come il comunismo e i fascismi. La seconda fase è definibile come età dell'oro. Ovvero trent'anni di crescita economica e di trasformazioni sociali di intensità senza precedenti. La terza parte del secolo, dall'inizio degli anni '80, è definibile come un'epoca di frana, caratterizzata da incertezza e crisi, nonché con lo spostamento dell'interesse generale verso altre parti del mondo non eurocentriche, come Africa, I'URSS e l'Asia. Di particolare interesse la tesi dell'autore che vede nel conflitto socialismo-capitalismo, durato praticamente fino alla fine degli anni novanta, non il principale problema storico del Novecento. Per lui, la questione piu' importante da esaminare è quella relativa al periodo dell'età dell'oro (circa 1947-1973) che può considerarsi la più rapida e fondamentale trasformazione economica sociale e culturale che la storia ricordi e che ha introdotto, almeno in occidente, innovazioni straordinarie per il genere umano, vissuto finora coltivando i campi e allevando animali. Insomma, un salto incredibile in quello che si dice comunemente qualità della vita per centinaia di milioni di esseri umani e che è divenuto nel mondo un modello da raggiungere per altri miliardi di persone. Un certo ridimensionamento anche per i fenomeni dei fascismi contrapposti al comunismo in Europa, visti dall'autore come una guerra civile ideologica internazionale e meno come lotta tra stati: una guerra tra i discendenti dell'illuminismo settecentesco e i suoi oppositori.
Tali riflessioni portano alla conseguenza che, assumendo la lotta capitalismo-comunismo come la caratteristica del secolo, esso ci appare già all'inizio del nuovo come un secolo “lontano”, con echi che sono scomparsi rapidamente e che già oggi sembrano distanti alle nuove generazionii. Letto con questa prospettiva, insomma, il novecento non ha prestato nessun futuro a quello iniziato. E' pur vero, però, che un aspetto presentatosi negli anni trenta del novecento è divenuto poi elemento saliente in questo: la contrapposizione tra i seguaci del liberismo puro (il mercato si autoregola) e i sostenitori dello stato sociale o comunque di un intervento dello stato sull'economia con finalità redistributive. A ben vedere, la famosa età dell'oro, è stata proprio contrassegnata da una forte presenza dei sostenitori di un intervento dello Stato nell'economia e quindi abbiamo ereditato automaticamente nel nostro quelle problematiche con tutta la loro attualità.
Tale sintesi ci fa capire che una disamina storica degli avvenimenti su un periodo di lungo tempo, anche se sommaria e incompleta, contribuisce inevitabilmente a ridimensionare temi e periodi storici a favore di altri che fino a qualche anno fa erano considerati i più importanti.
Il novecento vede quindi il nascere di un modo di vita che è ormai parte integrante di noi. Spesso non ce ne accorgiamo più di quante innovazioni siano state introdotte durante il suo svolgersi. Curioso è che, comunque si valutino questi esempi, essi sembrano avere sempre all'interno connotati di contrapposizione o almeno di contrasto.
Prendiamo alcuni esempi che sembrano confermare questa tesi:
A) Cultura come fenomeno sempre più di massa a cui si contrappone una cultura sempre più elitaria. Esempi:
a1) Cinema come connubio tra arte popolare e arte cosidetta seria;
a2) Musica come industria discografica cui si contrappone una musica colta sempre più elitaria;
a3) Fotografia come strumento per la rappresentazione iconica della realtà cui si contrappone una pittura 'astratta' e difficile per finire nel 'virtuale' come frontiera futura della rappresentazione.
B) Scienza e tecnologia sempre più avanzate cui si contrappone un certo ridimensionamento delle stesse a seguito soprattutto dell'allarme sui rischi ambientali di uno sviluppo tecnologico esagerato
C) La Comunicazione (fondamento per le società) vista come contrapposizione tra comunicazione tradizionale (diffusione del libro a stampa dal '400, giornali dall '800) e l'innovazione comunicativa data da telefono, radio, televisione, internet. Per la comunicazione territoriale si passa dal treno all'aereo.
D) La Gestione del territorio vede definitivamente il trionfo dello Stato-nazione già preparato dall'ottocento. Contrapposto l'attaccamento alla territorialità locale che sarà il tema dominante con cui si presenta invece il XXI secolo.
Da notare che tutti questi processi tendono a stabilire confini netti (arte popolare/arte colta; scienza-tecnologia/superstizione e anche religione; Stato/localismo come intralcio allo sviluppo)
Ma cosa hanno in comune le innovazioni date dal novecento da A), B) e C)? Il fatto di essere tutte ricomprese in ogni loro aspetto nella sfera "economica" (notare l'ambiguità ancora di internet), concetto non nato nel novecento ma che si sviluppa pienamente nel novecento. Tuttavia, nel novecento è ancora forte la contrapposizione della sfera economica con altre, la sua prevalenza è già in fieri ma si danno ancora coordinate diverse di comportamento sociale come i forti movimenti ideologici e culturali (l'arte elitaria).
Improvvisamente, sul finire del secolo, la sfera economica diviene invece veramente dominante. I motivi sono tanti: vanno dalla vittoria di un solo modello di organizzazione economico (che nel novecento si era contrapposto all'altro, basato sulle teorie socialiste), all'affermarsi di uno stile di organizzazione sociale che prevede grandi apparati burocratici ma comunque tesi al risultato, per cui i due mega-apparati contrapposti nel Novecento (Stato e mercato) danno alla fine la vittoria al mercato, visto come l'unico strumento efficace in vista di raggiungimento rapido degli obiettivi.
Riassumendo, il Novecento è, sul piano sociale culturale e scientifico, epoca di forti contrasti. Tali contrasti sembrano invece sfumati o quantomeno ridotti nel nostro secolo. All'opposto, sembrano nascere oggi altri conflitti: sul piano sociale quello già visto tra i fautori del mercato libero e mercato controllato (come ai tempi delle fasi iniziali del capitalismo) e, sul piano culturale, quello tra popoli diversi, perchè improvvisamente la storia del mondo non è più eurocentrica, ma diviene globale. Questa è veramente la novità più rilevante.
Quindi, se è vero che la storia è ciò che un'epoca trova di interessante in un’altra (secondo la definizione di Burckhardt) e che "la storia contemporanea ha inizio quando i problemi che sono attuali nel mondo odierno assumono per la prima volta una chiara fisionomia" (come affermava Barraclough), dovremmo avere pochi dubbi sul fatto che la contemporaneità inizi nella seconda metà del nostro secolo. Cioè dopo la seconda guerra mondiale o addirittura dagli anni settanta e non certo nel 1914 o ancor meno nel 1917.
Resta il problema della "percezione" della storia. Ovvero come le generazioni, sedi della memoria collettiva, trasferiscono quest'ultima nell'agire quotidiano. Non c'è dubbio che iil secolo nuovo si apra con generazioni la cui identità non sarà data dalla seconda guerra mondiale o dalla guerra fredda o dal '68. Fatti quasi estranei, non certo presenti fra i tratti costitutivi della propria identità e della propria memoria personale, sociale e storica. Per loro questa è data dalla terza rivoluzione industriale, da internet, dalla globalizzazione. Forse è questa duplice valenza della storia come storia del presente e storia come memoria che caratterizza l'apertura del nuovo secolo.
Si può dire che l'Esposizione universale del 1900, ha visto la nascita del postmoderno che crescerà poi in civiltà della scienza in tutte le sue immediate valenze. Tale ragionamento parte dall'assunto che possono essere considerate postmoderne tutte le pratiche umane tese all'immediato sfruttamento pubblico e commerciale. Un principio-guida che mai sarà smentito da qui in poi, sostanzialmente nuovo per le civiltà dell'occidente e che ben presto si espanderà anche ad altre civiltà nel mondo. Un principio vincente, senza dubbio. Dopo un secolo di questo procedere, senza che ce ne accorgiamo, ogni nostra scelta ed ogni nostro operare è sottomesso a questo principio. Corollario a questo principio, per riprendere la definizione di secolo “breve”, è che, a partire dal novecento, vale l'assunto che ogni aspetto del vivere è sottoposto a continui mutamenti, le innovazioni si succedono a ritmo vertiginoso, dando il senso di una “brevità” delle cose per cui la durata delle stesse diviene effimera. Tale considerazione sarà non a caso al centro della teoria di Bauman della "modernità liquida", caratteristica dei nostri tempi.