Marcuse ed il saggio L'uomo a una dimensione
Nel 1964, Herbert Marcuse pubblicava un saggio, L'uomo a una dimensione con il sottotitolo: l'ideologia della società industriale avanzata. L'inizio del saggio già sintetizzava il tutto: "una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno di progresso tecnico".
Il saggio cadeva in un periodo in cui fermenti critici e decisamente anti-sistema si manifestavano presso nuclei consistenti della gioventù americana, specie nei campus universitari. Molte delle tesi del libro divennero una fonte inaspettata per motivare teoricamente e non solo le proteste contro il sistema, insieme ad un altro libro dello stesso Marcuse dal titolo Eros e civiltà. Ovviamente, dopo qualche anno, verso il 1967-1968, queste tesi trovavano una sponda anche nei movimenti studenteschi e giovanili di protesta in Europa. In Italia, la forte presenza di influenze marxiste, fece sì che il libro, pur ottenendo attenzione, suscitò perplessità e anche forti critiche.
Il saggio non è di facile lettura. Del resto Marcuse è stato un rappresentante della cosidetta Scuola di Francoforte, una scuola di intellettuali tedeschi rigorosa e spesso ostica nella lettura. La sintesi del pensiero di Marcuse, come già detto, è presente nel periodo iniziale del libro già citato. Bisogna prestare attenzione alle parole usate, per comprendere l'enorme carica critica ma anche la differenza con le analisi marxiane e marxiste che, soprattutto all'epoca del saggio, erano molto in voga.
Protagonista è la società industriale avanzata, non si dice capitalistica. Per cui l'oggetto dell'analisi diviene più ampio. Marcuse considera sullo stesso piano delle classiche società capitalistiche occidentali, anche le società che, pur non richiamandosi politicamente al capitalismo, ne accettano i fondamenti economici, identificati con il massiccio ricorso all'industrializzazione che, a sua volta, deriva per Marcuse dal progresso tecnico. Marcuse sembra quindi ribaltare la classica concezione marxiana che vede nella struttura produttiva capitalistica il fondamento del progresso tecnico. La tecnica assume una sua indipendenza rispetto all'economia spingendola in una certa direzione. Questa uniformità di giudizio, basata non più sul modo di produzione ma sull'uso della tecnica, permetteva a Marcuse di porre indifferentemente sullo stesso piano, in modo critico, gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica. Oggi, con una situazione cinese dove il modo di produzione capitalistico sembra tranquillamente convivere con un regime politico di stampo socialista, le intuizioni di Marcuse paiono offrire non pochi spunti. Per Marcuse questa convergenza d'interessi è il progresso tecnico, indifferente ai meccanismi sociali sottesi, compreso il marxiano modo di produzione, non fosse altro per la necessità di uniformarsi ai canoni del progresso tecnico presenti in un dato momento storico.
Tutto questo apre uno scenario molto più complesso delle consuete analisi critiche al capitalismo ed introduce la critica alla cosidetta neutralità delle tecniche che viene pesantemente messa in discussione. Insomma, dato un certo sviluppo tecnico, tutto quello che ne consegue sembra inevitabile e la società diviene fortemente dipendente da questo progresso. La solita solfa di una tecnica "buona" applicata male, non è accettata. Per dirla tutta, la tecnica (e anche parzialmente la scienza pura occidentale che è alla base delle applicazioni tecnologiche) contiene i germi della sottomissione dell'uomo sull'uomo. Si badi che la concezione della non neutralità della tecnica deriva in Marcuse dalla Scuola di Francoforte. Per comprenderlo, bisogna rifarsi al fondamentale libro Dialettica dell'Illuminismo di Adorno e Horkheimer, in cui l'importante corrente di pensiero del settecento, di derivazione tutta e solo occidentale, è analizzata nella sua doppiezza: fonte di libertà ma anche fonte di un nuovo dominio fino all'asservimento delle masse al potere attraverso l'industria culturale. Tale convincimento è infatti richiamato da Marcuse nella prima parte della frase analizzata, che rappresenta una critica radicale alle società attuali. Come si può notare le parole usate sono un susseguirsi di aggettivi accattivanti riferiti al sostantivo non-libertà. In altre parole, la libertà nelle società attuali, viene trasformata in una non-libertà attraverso meccanismi tesi a persuadere la gente di vivere nell'esatto contrario, ovvero in società che rispecchino abbastanza fedelmente (pur con alcuni difetti) il concetto di libertà, così come concepito dai tempi dell'Illuminismo.
Questo ribaltamento, ottenuto con il conforto della ragione e della democrazia, è il concetto-chiave della critica non solo di Marcuse ma in genere espressa da tutti i rappresentanti della Scuola di Francoforte. Si tratta di un cambiamento radicale di prospettiva, tanto che, una volta compreso il ragionamento, ci si può divertire ad inserire o meno certi meccanismi culturali attuali nel libro nero della confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà. Banalmente: Marcuse non poteva di certo accennarlo ma, ad esempio, l'uso di Facebook rientra o no in questa categoria? Potete divertirvi a farne parecchi di questi esempi ma prima dovete prendere dimistichezza con il procedimento marcusiano di critica allo status-quo. Per farlo, ho qui di seguito fatto un riassunto quanto più fedele possibile del libro.
Il primo capitolo del libro si riferisce alle nuove forme di controllo. Marcuse inizia dicendo che è possibile distinguere tra bisogni veri e bisogni falsi. I bisogni falsi sono quelli che vengono sovrimposti all'individuo da parte di interessi sociali particolari e sono i bisogni che perpetuano la fatica, la miseria e l'ingiustizia. La maggior parte dei bisogni che oggi prevalgono: il bisogno di rilassarsi, divertirsi, di comportarsi e di consumare in accordo con gli annunci pubblicitari appartengono a questa categoria. Subito dopo afferma un concetto-chiave del libro: che uno degli aspetti più inquietanti della civiltà industriale avanzata sia il carattere razionale della sua irrazionalità. Sembra un gioco di parole ma proseguendo nella lettura vedremo che non è così. Marcuse considera la cultura industriale avanzata più ideologica delle precedenti, in quanto al presente l'ideologia è inserita nello stesso processo di produzione ed emergono forme di pensiero e di comportamento ad una dimensione. Questa tendenza si può collegare a due recenti sviluppi nel campo del metodo scientifico: l'operazionismo nelle scienze fisiche ed il comportamentismo nelle scienze sociali, dove domina l'aspetto comune di un empirismo totale nel modo di trattare i concetti.
Il secondo capitolo del libro è dedicato alla chiusura dell'universo politico. Qui Marcuse mette in chiaro perchè i movimenti che, nei paesi capitalistici si richiamano al socialismo/comunismo, sono destinati a fallire: la loro base sociale è stata indebolita e i loro obiettivi sono stati alterati dalla trasformazione del sistema capitalistico (Marcuse usa la metafora dell'apertura della camera da letto ai mezzi di comunicazione di massa). Ormai tali partiti si limitano a svolgere l'azione di opposizione legale, condannati a non poter essere mai radicali. In ciò sono testimonianza della profonda capacità di integrazione del capitalismo che trasforma le differenze qualitative degli interessi in conflitto come differenze puramente quantitative entro la società costituita. In sostanza, una vita sempre più confortevole per un numero sempre più vasto di persone, porta le stesse a non poter immaginare nulla di diverso, dato che la capacità del sistema di manipolare e contenere l'immaginazione e lo sforzo sovversivi è parte integrante della società data. L'effetto della meccanizzazione nella produzione fa sì che il lavoratore, specie quello manuale, viene anch'esso incorporato nella comunità tecnologica della popolazione amministrata. Infatti, il dominio prende la veste dell'amministrazione. Padroni e capitalisti vanno perdendo la loro identità per assumere la funzione di burocrati nella macchina delle corporations (...i famosi CEO attuali). Marcuse rileva che tutto ciò che una volta rendeva antagonista una parte consistente della popolazione rispetto al potere è ormai disinnescato; odio e frustrazione sono privati del loro bersaglio specifico ed il velo tecnologico maschera la riproduzione della disuguaglianza e dell'asservimento. In sostanza, la società attuale porta la servitù al suo stato puro: esistere come strumento, come cosa. E tale cosa non è che non sia tale se non sente di essere cosa. Come vedete, Marcuse va giù pesante. Quello che interessa sottolineare è che il declino della libertà e dell'opposizione non è un fatto di deterioramento o di corruzione morale od intellettuale. E' piuttosto un processo sociale obbiettivo, nella misura in cui la produzione e distribuzione di quantità crescenti di beni e servizi fanno dell'ubbidienza una atteggiamento tecnologico razionale. Marcuse usa per tutto ciò sotto la dicitura di vita amministrata. E' appena il caso di notare che le società attuali sono moderatamente pluralistiche perchè per l'individuo amministrato un'amministrazione pluralistica è assai meglio di un'amministrazione totale (come avviene negli Stati cosidetti totalitari).
Il terzo capitolo tratta della desublimazione repressiva. Qui Marcuse rispolvera concetti della psicoanalisi per mettere in evidenza alcuni dei meccanismi sottili che sono posti in essere per creare la non-libertà che però appaia come libertà. Per farlo si concentra sull'esempio dell'Arte e sulla sua carica dirompente che, una volta, possedeva. L'artista e la sua opera d'arte stavano in una dimensione diversa rispetto allo status-quo. La verità portata dall'Arte era un'altra verità ben distinta, che non doveva turbare l'ordine economico e politico ma che si poneva al di fuori del sistema. Oggi il rapporto è mutato e il potere assillante della società svuota la dimensione artistica, assorbendone i contenuti antagonistici. Il nuovo totalitarismo si manifesta pluralista, dove le opere e le verità più contraddittorie coesistono pacificamente in un mare di indifferenza. Questa osservazione è molto importante per capire il pensiero di Marcuse: la capacità di coesistenza di tutto e il contrario di tutto è l'arma più potente per annullare le possibili cariche antagonistiche. Per Marcuse, ritualizzata o no, l'arte contiene la razionalità della negazione. Nella società tecnologica lo iato tra alienazione artistica e ordine sociale viene progressivamente colmato. Questo avviene attraverso la sua incorporazione nella società, posta in essere tramite la circolazione delle opere d'arte come attrezzatura che adorna la vita quotidiana, fino a che l'Arte diviene strumento pubblicitario per vendere, confortare o eccitare. Risultato: l'atrofia degli organi mentali necessari per afferrare contraddizioni ed alternative. Nella sola dimensione che rimane, quella della razionalità tecnologica, la coscienza felice tende a prevalere. Gli individui sono portati a scorgere solo nell'apparato produttivo l'agente effettivo del pensiero e dell'azione, cui l'individuo deve cedere il passo. Amaramente, Marcuse constata che, nel regno della coscienza felice, non c'è posto per sensi di colpa ed il calcolo utilitaristico s'incarica di tenere a bada la coscienza.
Veniamo ora ad uno dei capitoli più interessanti, quello relativo alla chiusura dell'universo di discorso. Che vuol dire? In un certo senso è l'allargamento dei concetti visti nel capitolo precedente a tutto il processo comunicativo delle attuali società industriali avanzate, con particolare riferimento agli aspetti linguistici del discorso.
Infatti si riprende dalla coscienza felice per definirla come la credenza che il reale è razionale e che il sistema mantiene le promesse, riflettendo il nuovo conformismo che è un lato della razionalità tecnologica, tradotta in comportamento sociale. L'amministrazione totale elabora un proprio linguaggio, in cui il comportamento unidimensionale s'esprime. Per cui, analizzando i punti nodali dell'universo di discorso pubblico, compaiono proposizioni analitiche autovalidantesi, che funzionano come formule magico-rituali ma ben ficcate nella mente dell'ascoltatore mediante ripetizioni ossessive (Marcuse ammette il debito di questa idea verso Orwell). Attraverso queste procedure è possibile citare le contraddizioni senza far saltare il sistema sociale, anzi esse divengono spudoratamente dichiarate e usate. Gli opposti sono conciliati e unificati in modo tale che nel commercio e nella politica il discorso e la sua comunicazione si rendono immuni alla protesta e al rifiuto. Ecco perchè questo universo di discorso si chiude in sè, escludendo qualsiasi altro discorso che non si svolga nei suoi termini. Assimilando tutti gli altri termini ai propri, promette tolleranza e unità. Per fare questo, il linguaggio si articola in costruzioni che impongono all'ascoltatore un significato obliquo e abbreviato, bloccando lo sviluppo del contenuto, considerato solo nella forma in cui è offerto. Le proposizioni prendono la forma di comandi suggestivi, sono evocative piuttosto che dimostrative e l'insieme della comunicazione ha carattere ipnotico. Alla fine del tutto c'è lo scopo di identificare la cosa con la sua funzione, sbarrando la strada ai tentativi di differenziare, separare, distinguere. Codesto linguaggio, impone senza tregua immagini e milita contro lo sviluppo e l'espressione di concetti (che invece non identificano necessariamente la cosa con la sua funzione). Il linguaggio unificato, funzionale è un linguaggio anticritico e antidialettico. Non solo, esso diviene anche profondamente antistorico, nel senso che ricordare il passato come fonte di conoscenza viene considerato pericoloso, per cui si costruisce una società praticamente senza memoria. Il linguaggio rituale-autoritario si diffonde per tutto il mondo contemporaneo, nei paesi democratici come in quelli non democratici, nei paesi capitalisti ed in quelli non capitalisti. La cosa straordinaria è che le persone oggetto di tale discorso, pur non credendo affatto a quello che viene detto loro oppure non curandosene, alla fine agiscono in conformità ad esso. Questa è la grande novità del nostro tempo. Conseguenza di tutto ciò è che il linguaggio della politica tende a diventare quello della pubblicità. Alla fine la congiunzione tra politica, affari e divertimento è completa. Epitaffio di questa tendenza è che la razionalità del progresso è ambivalente: soddisfa nel mentre esercita il suo potere repressivo e reprime nel mentre soddisfa.
Marcuse prosegue presentando altri due capitoli: uno relativo al pensiero negativo e la sconfitta della logica della protesta e l'altro sul successivo passaggio al pensiero positivo dove razionalità tecnologica e logica del dominio coincidono. Siamo costretti ad alcuni richiami di filosofia per capirli. Secondo Marcuse nel pensiero occidentale, fin dai tempi dei Greci, la Ragione è la facoltà cognitiva atta a distinguere ciò che è vero da ciò che è falso. Insomma: ragione = verità = realtà. Il discorso vero, la Logica rivela ciò che effettivamente è, distinto da ciò che appare (assimilabile alla realtà come ci si presenta senza la mediazione della Ragione). Sia per Platone che per Aristotele i modi dell'Essere sono modi di movimento: dalla potenzialità alla realizzazione. L'Essere è permeato di negatività perchè non è una realizzazione completa e per tale motivo non è vera realtà. A livello sociale, tale condizione porta i filosofi greci a pensare che la ricerca della verità sia libera da ogni attività per procurarsi le cose necessarie all'esistenza e la ricerca della verità è vista come un privilegio. In Aristotele, tale ricerca diverrà logica formale, dove il pensiero è indifferente ai propri oggetti e questo fondamento, pur con i dovuti sviluppi, arriva fino ad oggi e permea, differentemente che la logica dialettica platonica, un pensiero costruito come universalmente valido e neutrale per quanto riguarda il contenuto materiale. In sostanza, Marcuse sembra qui ricercare i fondamenti di un pensiero, applicato poi al linguaggio unidimensionale, che annulla nei suoi riferimenti sia qualsiasi realtà sia i contenuti propri di questa realtà. Così facendo è possibile costruire un linguaggio neutrale, applicabile non solo ai fatti fisici ma anche a quelli sociali ed umani. Diviene possibile parlare del sociale senza riferirsi alle realtà sottostanti a questo universo, cioè alle persone che vivono questa realtà.
Nella realtà sociale, nonostante il passare dei secoli, il dominio dell'uomo sull'uomo rimane costante. Tuttavia solo con la trasformazione tecnologica della natura la dipendenza personale (schiavo/padrone, servo/signore) diviene dipendenza dall'ordine oggettivo delle cose, ovvero dalle leggi economiche, del mercato, ecc. Noi viviamo e moriamo in modo razionale e produttivo. Con la gestione scientifica della produzione è aumentata la produttività e con esso il tenore di vita, per cui razionalità tecnico-scientifica e la manipolazione delle coscienze sono saldate insieme in nuove forme di controllo sociale. Tutto si sposta dalla metafisica domanda "che cos'è?" al più funzionale "come?" e la quantificazione della realtà ne è la prova. La scienza della natura si sviluppa ormai su un a priori tecnologico (sfruttamento delle scoperte ai fini pratici) che scorge nella natura null'altro che uno strumento potenziale, da controllare e organizzare. Qui Marcuse ha poi un'intuizione felice e dice che questo a priori tecnologico diviene un a priori politico, nel senso che la trasformazione della natura implica quella dell'uomo. Marcuse è anche costretto, dal suo stesso ragionamento, a criticare l'avalutatività della scienza pura. La razionalità scientifica favorisce una specifica organizzazione della società, proprio perchè concepisce una forma pura che può essere piegata a qualsiasi fine. E' importante comprendere che il dominio oggi si perpetua e s'estende non soltanto attraverso la tecnologia ma come tecnologia, espandendosi fino ad assorbire tutte le sfere della cultura. Marcuse dice allora una cosa importante: l'assenza di libertà non appare avere un carattere d'irrazionalità nè deriva da fattori politici ma sembra piuttosto dovuta alla sottomissione all'apparato tecnico che accresce i comodi della vita e aumenta la produttività del lavoro. L'orizzonte si apre allora su una società razionalmente totalitaria. Il mondo tende a diventare materia di amministrazione totale, che assorbe in sè anche gli amministratori.
I successivi capitoli servono a rinforzare questi concetti, portando esempi o ampliando i concetti già espressi. In essi Marcuse ha intuizioni notevoli. Come quando dimostra che i nostri discorsi nel descrivere sentimenti e affetti hanno bisogno di riferirsi ai termini degli avvisi pubblicitari, delle pellicole cinematografiche, dei politici, dei bestsellers. Oppure quando dice che ormai quello che si dice e si ascolta non può essere preso alla lettera non tanto perchè è menzognero ma perchè tutto ciò che si dice è ormai un coacervo di contraddizioni manipolate. Il linguaggio, una volta multidimensionale, è oggi unidimensionale, in cui significati differenti e contraddittori non penetrano più, sono tenuti in disparte e l'eventuale portata esplosiva del significato è ridotta al silenzio. In sostanza, per Marcuse non ci sono più significati ma solo significanti.
Se è lo stato di cose stabilito che decide la vita degli individui, è possibile trovare vie d'uscita a tutto questo? Marcuse affronta questo problema negli ultimi capitoli del suo libro. E' chiaro che, date le premesse alquanto pessimiste, l'autore dà la sensazione di barcamenarsi, cercando degli ancoraggi in una situazione da lui stesso definita tragica. La filosofia potrebbe avere qualche possibilità di squarciare questo quadro. Comunque, sul piano effettivo dell'agire, per Marcuse la non-libertà è il risultato della libertà di coloro che fanno le scelte e che controllano il processo produttivo, per cui qualsiasi abolizione delle necessità che rendono schiavi incrementeranno le possibilità di libertà. In questo sembra recuperare teorie marxiste, come ad esempio una certa preferenza per un'economia pianificata, sostenendo che contrastarla in nome di una democrazia liberale (di fatto negata nella realtà) serve solo come sostegno ideologico per interessi repressivi. Marcuse adotta alcuni concetti per esprimere le sue speranze in un cambiamento. La definisce esistenza pacificata, vista come un'accettazione delle contraddizioni del vivere tra cui quella tra tecnologia e natura. Non è però molto tenero con una pedissequa glorificazione del naturale e categoricamente afferma che la Storia è la negazione della Natura. In questo non può dirsi un precursore dell'ecologia, almeno di quella più estrema. Auspica comunque una riduzione della popolazione, vista come fondamentale per avere qualche speranza nel futuro. Insomma, per lui il tenore di vita raggiunto nelle aree industriali più avanzate non è un modello conveniente di sviluppo se l'intento è arrivare alla pacificazione. Infatti, il crimine odierno è quello di peggiorare la lotta per l'esistenza dinanzi alla possibilità concreta di alleviarla. Forme di limitazione delle libertà saranno sempre più probabili, a fronte della concessione di libertà atte a rafforzare la repressione. Questo genera l'incredibile fatto che la gente sopporti tranquillamente l'inquinamento, mangiare alimenti sempre meno naturali e altri eventi drammatici mentre non potrebbe tollerare di essere privata della televisione e degli altri intrattenimenti che servono a riprodurre le non-libertà. Questo perchè la società unidimensionale altera la relazione tra razionale e irrazionale. Marcuse pensa che contro questo sia valido liberare l'immaginazione. Quanto le sue tesi abbiano trovato eco nelle proteste degli anni sessanta, lo si capisce dal fatto che proprio uno degli slogan del maggio parigino del 1968 suonava proprio così: l'immaginazione al potere!
Ed infatti è proprio nel capitolo conclusivo che emergono alcune ipotesi di Marcuse che troveranno posto in questi movimenti. Come quello che il popolo non può più esser visto come agente del mutamento sociale ma, per Marcuse, resterà comunque sempre un sostrato di reietti e di stranieri, di sfruttati e di perseguitati di altre razze e di altri colori, di disoccupati e di inabili. Proprio costoro, contrariamente a Marx, saranno per l'autore i veri oppositori rivoluzionari perchè restano fuori dal processo democratico. Queste tesi richiamano la futura virata verso il terzomondismo di parecchi movimenti di protesta in occidente e non solo. Inoltre lo sposare la tesi del sottoproletariato (lumpenproletariat in Marx) come unica figura vera antagonista del sistema, deriva in Marcuse da influenze non del marxismo europeo ortodosso, ma dal neomarxismo americano di Baran e Sweezy.
Infatti, per concludere quest'analisi del pensiero di Marcuse e del suo libro di maggior diffusione, non bisogna dimenticare che molte delle tesi della Scuola di Francoforte, sono una lucida conseguenza del forzato contatto dei suoi esponenti con una realtà molto diversa da quella europea: quella americana dove saranno costretti ad emigrare a causa del Nazismo. Una realtà sociale molto diversa, che poneva nuovi interrogativi dato che in essa già trovavano posto meccanismi e comportamenti che solo in futuro saranno prerogativa anche degli europei (fordismo nelle fabbriche, televisione, benessere diffuso, ecc.).
Alla fine di questa sintesi, è abbastanza facile rilevare che le ipotesi di Marcuse, pur riferendosi agli anni sessanta dello scorso secolo, mantengono una loro validità nell'attualità storica. Non è una forzatura osservare come i meccanismi mediali previsti per sviluppare la non-libertà senza che le masse abbiano consapevolezza dell'unidimensionalità avvolgente ogni aspetto della loro vita quotidiana, sia quasi un dato di fatto ammesso da molti osservatori sociali. Marcuse, tuttavia, va oltre nel suo saggio e cerca di trovare le reali radici di questo processo. Così facendo mette in discussione parecchie cose, tanto che la sua critica può definirsi oggi ancora più radicale di quando il saggio fu scritto, dato che gli stessi osservatori sembrano ai nostri giorni maggiormente restii a toccare alcuni simulacri ideologici e culturali trattati invece spietatamente dall'analisi di Marcuse.