Sacro GRA un film documentario a cavallo dell'autopoiesi?
Insolitamente ha vinto il Leone d'Oro 2013 a Venezia un documentario, meglio un film documentario: Sacro GRA di Gianfranco Rosi. Perchè film documentario? Lasciamo parlare il regista proprio su questa sua opera: "girare non è semplicemente dar vita a un’azione...deve emergere qualcosa di più complesso della semplice osservazione o della messa in scena". Quindi per lui Sacro GRA non è una messa in scena, alla stregua della trama e la sceneggiatura di un film ma non è semplice osservazione come un documentario tradizionale, ad esempio quelli sulla natura. Quel qualcosa di più complesso sta allo spettatore dire se viene percepito. La Giuria di Venezia evidentemente l'ha percepito. Personalmente, mi trovo sostanzialmente d'accordo con quella Giuria anche se non so se ci fosse in giro qualcosa di migliore. Pur rispettando i canoni classici di un documentario, il tutto viene arricchito da una sorta di racconto affidato non più alle sole immagini ma a scene di vita quotidiana dove i protagonisti sono le persone e non quell'ammasso di lamiere in movimento che è il Grande Raccordo Anulare di Roma (da cui il titolo molto azzeccato). In alcuni momenti si vivono vere scene teatrali come quelle dei dialoghi di una bizzarra coppia composta da padre e figlia in un anonimo caseggiato a ridosso del GRA, impreziositi da una ripresa fissa attraverso la finestra della casa che, da un punto di vista stilistico, appare una riuscita sintesi tra ripresa oggettiva e soggettiva dato che abbiamo la sensazione di essere noi a spiare dentro quell'appartamento. Altre scene sono veramente scioccanti, tra cui quelle allucinanti dell'apertura notturna delle bare nel cimitero di Prima Porta e relativo trasporto nelle fosse comuni che porta a tensione lo spettatore cui fa seguito subito una sorta di rilassamento con le scene della nevicata a Roma nel 2011 sul GRA che tutto ricopre (il documentario ha richiesto ben tre anni di lavoro). Altri momenti del film documentario sono più tradizionali, come la scena delle pecore che brucano a due passi dalle macchine che sfrecciano: una visione che non stupisce più di tanto un abitante di Roma. Oppure la storia dell'infermiere in servizio sul GRA a raccogliere feriti e ne incontra uno, malridotto, che dentro l'ambulanza gli chiede: "aho? posso lavorà domani?". Una tipica battuta cinica della gente romana (non uso la parola romani perchè ormai ne sono rimasti pochi e non basta il dialetto a farli tali). Però apprezzabile il grottesco (se vero) della lap dance un pò scalcagnata sul bancone di un bar di periferia. Ho usato la parola di dubbio, perchè mi sembra evidente che, per andare oltre al documentario puro, il regista abbia forse volutamente inserito queste scene per uscire da quella che lui definisce 'semplice osservazione'. Ho anche apprezzato che, sebbene il film prenda il titolo dal GRA, questo si veda sostanzialmente poco. Di notte è solo un brulichio di fari ripresi senza mettere a fuoco l'obiettivo e di cartelli indicatori illuminati dai fari; di giorno rumore e viadotti sotto i quali vive un sottobosco di persone, ognuno con la sua storia. Questo esserci senza esserci rappresenta bene, nel film documentario, come il GRA non sia altro che quello che i sociologi chiamano un non-luogo, ovvero uno spazio finalizzato (al trasporto, al commercio, ecc.) ma che riesce a creare intorno a sè aggregazioni umane e rapporti sociali. E' talmente vero che il GRA, iniziato nel 1948 e finito praticamente nel 1982, ha rappresentato e rappresenta a Roma una sorta di confine tra nucleo urbano e sub-urbano, quest'ultimo inizialmente a ridosso del GRA verso l'interno ed ormai situato invece al di fuori del tracciato del GRA, verso l'esterno. Citando il non luogo per definire il GRA entriamo però in una dimensione che, dato il taglio del film come documentario e come storie di vita, mi interessa particolarmente. E' possibile estrapolarne un qualcosa che vada al di la della pura estetica ed entri negli aspetti tipici di un documentario, ovvero rappresentare una riflessione su una data realtà? Direi di sì ed i concetti che mi sono venuti in mente vedendolo sono autopoiesi e sin-referenzialità. Capisco che queste due parole possono creare panico. Ma cerco di spiegare il tutto. L'autopoiesi è una teoria nata da due biologi Maturana e Varela sugli esseri viventi che, per la sua impostazione, rappresenta una teoria a forte connotazione interdisciplinare, cioè può essere usata anche in altre discipline. In soldoni, l'autopoiesi è una teoria basata su criteri moderni di come le società siano analoghe agli organismi viventi, a sua volta idea alquanto antica. Come tale, l'autopoiesi è stata usata dal sociologo Luhmann per spiegare i comportamenti delle società complesse. La sin-referenzialità è una teoria ancora più recente, da parte di un sociologo tedesco Hejl, che nasce come risposta all'interpretazione tutta sistemica di Luhmann e per recuperare il ruolo dell'individuo nei meccanismi sociali. Infatti per Luhmann non c'è posto per i singoli individui: le società e le istituzioni sono entità indipendenti, autoreferenziali e che usano processi comunicativi (non informativi) per perpetuarsi, chiudendosi agli stimoli esterni. In sostanza i sistemi sociali si mantengono non perchè s'aprono all'esterno ma proprio per il contrario. Hejl, non soddisfatto da questa totale messa in mora degli individui nei sistemi sociali ha introdotto correttivi, sempre basati sull'autopoiesi, in cui i medesimi risultati di stabilità si raggiungono con dinamiche partecipative tese a realizzare un dominio condiviso di interazioni fino a costruire un mondo autonomo nell'ambiente circostante, tutto coordinato solo da relazioni interne al dominio creato. Ora, direte, tutto questo che c'entra con il Sacro GRA? C'entra, eccome. Pensate solo alla figura accattivante del tizio che cerca disperatamente di trovare il rimedio al parassita delle palme, un vero disastro per la flora cittadina. Questo parassita è descritto proprio come una macchina perfetta tesa ad un solo scopo autoreferenziale in cui l'ambiente (la palma) è un puro accessorio da sfruttare fino alla distruzione, nessuna apertura verso il mondo circostante. Tanto che lui ad un certo punto si domanda se non siano simili agli esseri umani nel loro comportamento. Questa domanda e la lotta al parassita è simbolica nel film, è evidente. Il GRA è dunque un sistema alla Luhmann perfettamente autoriproducentesi indifferente alle decine di migliaia di auto (individui) che transitano nel suo tracciato, ai feriti, ai morti e alle abitazioni che sorgono come funghi intorno a lui? Oppure il GRA è proprio quelle migliaia di individui che lo percorrono, rischiando anche la vita o che vivono ai margini del suo asfalto, magari raccogliendo anguille sotto i suoi ponti e cercando di creare un dominio, il dominio consensuale del GRA? Forse per questo quel 'Sacro' aggiunto al titolo, non è solo un'assonanza. A voi, se andate a vedere il film, scegliere.
Qui il trailer ufficiale del film:
Poi, per stemperare il clima, non c'è niente di meglio che il mitico Guzzanti nella sua parodia simil-Venditti dediicata proprio al Grande Raccordo Anulare: