Il film di Marco Bellocchio 'Rapito'
Basato su una 'storia' vera anche se poco conosciuta, quest'ultima fatica di Marco Bellocchio (in concorso al festival di Cannes del 2023) convince. Intanto perchè, tranne pochi particolari, segue piuttosto fedelmente l'accaduto e poi perchè è un buon film in costume con un'ambientazione dai toni un pò scuri che ben s'addicono alla tragica vicenda. Siamo nel 1852 a Bologna, Stato Pontificio. Nonostante il divieto di lavoro dei cittadini non ebrei alle dipendenze di ebrei, una governante battezza di soppiatto un bambino (Edgardo Mortara) figlio di una coppia ebraica perchè lo crede in punto di morte durante una malattia. Anni dopo, per vicende varie, confessa il fatto e scatta il decadimento della patria potestà con il conseguente 'rapimento' (obbligo di consegnare il bambino con la forza) che, ormai a 6 anni, si ritrova strappato dalla sua famiglia per essere 'rieducato' alla religione cattolica. Infatti, secondo le leggi vigenti dello Stato della Chiesa, una volta battezzato non poteva rimanere in una famiglia ebraica. Da qui il film segue tutta la vicenda rieducativa del bambino che ovviamente viene ad intrecciarsi con le vicende storiche dell'unità d'Italia in fieri, fino alla presa di Roma nel 1870 e oltre. Siamo di fronte ad un classico caso di 'cronaca' che però, per rilevanza e per casualità, monta fino a ritrovarsi in una situazione oltre la mera sfera personale. Questi episodi finiscono inevitabilmente per essere spunto di opere letterarie e, nel caso specifico, cinematografiche. Poi, per Bellocchio, i temi suscitati dalla storia del bambino bolognese sono particolarmente graditi, dato che mischiano religione e storia passando attraverso il delicato tema dell'insegnamento, inteso come educazione più o meno coercitiva. Il film sembra una sorta di sintesi tra la tematica della cultura cattolica affrontata in film con 'Nel nome del padre' (1972) o 'L'ora di religione' (2002) e film con un mix storico-politico-personale, come in quello dedicato alla vicenda del rapimento Moro (Buongiorno notte, 2003). Pur se gli elementi storici sono bene in vista, è l'educazione o meglio il 'protocollo' dell'educazione che viene messo in rilievo dal film. Torna alla mente il libro distopico di Huxley, 'Il mondo nuovo' dove la creazione di individui conformisti passa non solo da manipolazioni genetiche ma soprattutto dal condizionamento educativo successivo, per ottenere un fenotipo ligio ai dettami di una cultura dominante E' appunto nella descrizione di come tutto questo sia avvenuto nella vicenda in questione che Bellocchio dà il meglio. In modo efficace Bellocchio ci rappresenta sia il condizionamento visivo (i crocefissi e le liturgie), sia il condizionamento uditivo e mentale tramite le giaculatorie e le frasi in latino ripetute in modo ossessivo che sembrano richiamare gli 'slogan' usati nel libro di Huxley. C'è tuttavia nel film un aspetto che non so se era nelle intenzioni del regista. E cioè che il condizionamento del bambino e la sua 'rieducazione' coatta ai canoni della religione cattolica sia stato possibile e vincente perchè, nell'importante fase della prima infanzia, egli aveva già subito pressioni analoghe tramite i canoni della religione ebraica. Naturalmente resta il pesante distinguo 'politico' e personale di un potere statuale che impone una rieducazione rispetto alla normale prassi familiare ad una educazione religiosa, peraltro pure perseguitata. Però si esce dalla sala con il dubbio che, almeno le religioni monoteiste, non vadano molto d'accordo per una formazione dell'individuo come si suol dire 'liberale' e che velatamente viene raffigurata nel film invece dal fratello di Edgardo.... Insomma una lettura un pò radicale che però è in linea con il personaggio del regista Bellocchio, uso nella sua carriera ad essere dirompente con i suoi film, a partire dal mitico 'I pugni in tasca' del 1965.
Il trailer ufficiale: