Un commento al film Arrival: dalla fantascienza alla fantalinguistica
Il film Arrival del regista canadese Denis Villeneuve e basato su un racconto di Ted Chiang ha avuto nel complesso buone critiche e favore di pubblico. Il film è costruito su un format caro alla fantascienza: l'arrivo degli alieni sulla Terra. Però questa volta gli alieni sono buoni, proprio come nel film di Spielberg 'Incontri ravvicinati del terzo tipo' e semmai il problema non sono gli alieni ma gli umani con i loro vizi e la loro rissosità (per non dire peggio), come sarà ampiamente rimarcato nel film. Tuttavia, come si fa a sapere se gli alieni sono venuti con buone intenzioni? Semplice: comunicando con loro. E qui cominciano i guai. Come comunicare? Nel film di Spielberg la cosa è risolta abbastanza facilmente ma solo perchè la comunicazione si limitava a fornire le coordinate d'atterraggio delle astronavi aliene e si basava su un codice comune di luci e suoni. Qui invece la cosa si fa più complessa. Le astronavi atterrano e basta, per la precisione in 12 punti diversi del globo. Da questa scelta nascono i primi contrasti: infatti ben dodici nazioni, tra cui Cina e Russia, si mettono in testa ognuna di procedere al contatto con propri metodi pur cercando in un primo tempo di condividere le informazioni ricevute. Per poco, però. Perchè ben presto cominceranno i sotterfugi e alcune, Cina in testa, prenderanno guarda caso iniziative pericolose di ostilità e saranno pronte per l'attacco armato contro le astronavi aliene. Come in tutti i movies di fantascienza, i protagonisti sono i cosiddetti 'consulenti' ovvero persone che le autorità usano per risolvere la questione. Di consulenti ne abbiamo visti tanti: dai fisici ai biologi, dai matematici ai geologi e addirittura esperti di trivellazioni petrolifere (come in Armageddon). Qui il vero consulente chiave è invece stranamente una linguista, Louise Bank. Chiamata dall'esercito americano a decifare il linguaggio degli alieni. Ora per circà metà film vi chiederete una cosa banale: se gli alieni sono anni luce avanti come tecnologia e vogliono comunicare, che ci vuole per loro a farlo inventandosi qualche diavoleria? Tipo un traduttore Google, tanto per intenderci. Quando darete la risposta a questa semplice domanda, capirete anche il film. Per prima cosa capirete che gli alieni non vogliono comunicare usando il nostro linguaggio umano perchè vogliono invece semplicemente l'opposto: dobbiamo essere noi ad imparare il loro e così questa semplice obiezione sarà spazzata via. Ma non solo. Capirete poi che, nonostante sia nel solco della fantascienza, a poco a poco il film si trasforma in un compendio di fantalinguistica. Il che lo rende quasi unico nel suo genere. Sarete quindi introdotti ai concetti di logogramma, scrittura non lineare (di cui l'esempio più conosciuto è l'ipertesto) e quant'altro. Con un pò di buona volontà scoprirete che l'approccio della protagonista (interpretata da Amy Adams) al contatto con gli alieni non fa che ricalcare i classici procedimenti previsti dalla linguistica di Jakobson e dalle leggi di Shannon e Weaver. Cioè che una non comunicazione è impossibile per definizione, cui segue l'attivazione prima della funzione fàtica (il nostro pronto al telefono) poi via via delle altre più complesse fino alla funzione poetica (quella con cui si comunicano emozioni, riflessioni e significati alti) e rappresentata nel film da una toccante scena dove uno degli alieni informa la protagonista della morte del suo amico causata dalla mano colpevole degli umani. Qui l'origine informatica di Chiang, autore del racconto su cui è basato il film, si sente in pieno. Il mezzo o, per usare il gergo tecnico, il 'codice' necessario per fare tutto questo sono i logogrammi a disegno circolare usati dagli alieni e che hanno una particolare caratteristica: non seguono una logica prettamente sequenziale ma circolare rispetto al tempo e quindi apprendere il loro linguaggio significherà di fatto avere il controllo sul tempo. Insomma, il finale della favola fantalinguistica è il controllo sul futuro. A questo punto, se masticate un pochino i thriller, capirete dove andrà a parare il film e soprattutto ripenserete alle scene inziali con altra ottica. La parte ultima è poi un riassunto para-filosofico sul libero arbitrio e riassumibile nella frase 'farei le stesse cose che faccio se conoscessi il futuro?' Domanda non da poco, anche se qualche spettatore potrebbe tagliare la testa al toro e dire con lo storico Burckhardt che un futuro conosciuto in anticipo è un controsenso. Il film però non è un controsenso e si difende complessivamente molto bene e può soddisfare sicuramente gli appassionati del genere fantascienza nel senso più nobile del termine, mentre può forse deludere quelli abituati agli effetti speciali tipo catastrofico e tutto azione ma questo è, a mio parere, un merito. Da vedere.
Qui il trailer ufficiale:
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